L’Europa e il Consiglio Europeo del 23 aprile 2020

Molti italiani ed europei stanno approfittando della crisi per capire meglio come funzionino i meccanismi dell’Unione, quali siano le idee, i progetti e come si modifichino e si approvino le riforme.

In molti, a causa del coronavirus, stanno oggi scoprendo che il ruolo della Commissione è, sì, importante, ma non quanto immaginassero. E questo perché il vero potere “in Europa” è ancora nelle mani dei capi di stato o di governo. Governi che a loro volta non sono monoliti e che sentono, come è normale, la pressione delle opposizioni e delle opinioni pubbliche. Una delle cose positive di questo dibattito, a tratti assurdo – basti pensare alle ultime settimane passate a leggere milioni di opinioni e di risvolti sul complesso Meccanismo Salva Stati, meglio noto come MES – è stata per molte persone la conoscenza o la scoperta del Consiglio Europeo, l’organo di cui fanno parte tutti i capi di governo europei: il vero organo di decisione dell’Unione.

Oggi, 27 capi di stato o di governo, fino alla brexit erano 28, si incontrano e discutono i punti all’ordine del giorno, in media una volta ogni tre mesi. Dalle decisioni prese o non prese scaturiscono il più delle volte le classiche frasi: “L’Europa dice…”, “L’europa fa…”, “L’Europa è…”. È infatti un sistema intergovernativo quello attuale, che andrebbe superato. Dove pesano molto, per chi scrive troppo, i capi di governo e troppo poco il Parlamento Europeo e la Commissione Europea, che alla fine si ritrova a essere il braccio operativo del Consiglio. Su questa veloce e breve analisi molti amici avranno da aggiungere o mettere i puntini, ma in estrema sintesi questo è oggi “l’Europa”. E un passo in più va oggi fatto nella condivisione di progetti e investimenti, penso al RecoveryFund o recovery bond, perché questo sia un altro passo in avanti, un altro punto della nostra storia, ma soprattutto un modello per altre azioni future. Un grande piano per la ripresa economica post emergenza.

La storia dell’UE è fatta di tanti piccoli passi, basti ricordare che iniziò tutto da 6 paesi (Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) nel 1951, creando un mercato libero e senza tasse o diritti doganali per materie fondamentali alla ricostruzione dell’Europa: il carbone e l’acciaio. E questo a soli sei anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Oggi, l’attuale crisi ci sta facendo capire che è di più Europa che avremmo bisogno. Di una BCE che persegua senza limiti la difesa dei bilanci europei dalla speculazione finanziaria (come disegnato e attuato da Mario Draghi con l’acquisto dei titoli italiani e il risparmio per noi di molti miliardi di interesse ogni anno). Di un Parlamento Europeo più libero, e con maggiori poteri nelle materie di sua competenza. Di una fiscalità più condivisa, checché ne dicano i sovranisti olandesi o italiani, entrambi legati dal sogno di uscire dall’euro e dal ritorno al fiorino e alla lira. Alla lira, capito?! Da non crederci.

Al netto delle tante questioni europee aperte, dei tanti problemi e delle diffidenze attuali, ciò di cui oggi non abbiamo bisogno è di illuderci con: “torniamo alla lira!”. Questo slogan è un facile strumento di propaganda, basato, più che sull’utilità, sulla demagogica dimensione del passato felice. Un passato di cui tutto oggi ci appare chiaro e sano, sicuro e felice, romantico e sereno. Ovvio, è il passato!

Ma noi dobbiamo sentire l’incertezza, perché è questo che sentiamo nelle nostre vite quando pensiamo a costruire il futuro. È questo che è naturale nella vita, l’agitazione e l’ansia per i nuovi progetti (senza la degenerazione nel panico, sia ben inteso) e non di ricreare quello che è già accaduto.

Per questo, negoziare il futuro, organizzarlo, forzarlo, battersi perché si plasmi secondo i propri interessi dovrebbe essere l’unico obiettivo. Chi propone un ritorno al passato è un venditore di fumo che gioca sui sentimenti legittimi delle persone.

Se c’è una cosa che questo virus ha spiegato agli europei sull’Europa è che la strada ancora da fare è lunga, e senz’altro irta di ostacoli, di discussioni e di negoziazioni. Ma nulla nella vita può essere rimandato pensando che era meglio il passato. Non torneremo più agli sessanta, ma possiamo costruire, insieme o con chi ne condivide le finalità, qualcosa di nuovo. A partire dal prossimo Consiglio Europeo del 23 aprile 2020, un Consiglio che passerà alla storia come un piccolo, ma significativo, passo in avanti dell’Unione o come una pazzesca reminiscenza da parte dei capi di stato e di governo dell’UE.